Gira il sole

di Sofia Dovigo

Terra impastata di fango, un’umida camicia a quadri, una strana malinconia dietro gli occhi, di qualcosa che non posso afferrare perché non mi appartiene. Questo è tutto ciò che resta del temporale della sera prima. 
Calpesto a piedi nudi il suolo della steppa desolata e acquitrinosa, intorno a me chilometri di silenzio, spazi vuoti riempiti solo dal mio sguardo.
Nuvole filanti si stendono piatte all’orizzonte, il cielo brilla della luce sottile dell’aurora e la solitudine non è mai stata tanto desiderata.  Di notte morto, all’alba rinato. 

Non riesco a trattenere dentro di me la bellezza che ho di fronte, questo mi dispera, sono avido, provo a scriverla per appropriarmene, ma la bellezza non possiede e non può essere posseduta, quindi: la malinconia. 
Trovo tutto talmente bello che mi fa male al cuore ed io non so che farmene di questo dolore. Mi arrendo, la bellezza è vanitosa, esiste solo se c’è qualcuno a guardarla, ma è fuori dall’ego, impersonale, inafferrabile meraviglia. In realtà la vanità è solo negli occhi di chi la bellezza la chiama, è libera da ogni definizione, si limita ad essere.

Lungo l’argine del fiume si arrotolano girasoli piegati dal vento della tempesta, l’aria morbida si appoggia sul mio viso, vorrei che il mio corpo fosse fiumi azzurri e colline e praterie dove corre dolcissimo il tempo.  Ed io mi sento sempre meno corpo e sempre più spirito. Sono come fatto di una sostanza scomposta, rarefatta, luminosa, alla soglia della coscienza.

Solo e quasi senza un corpo, raccolgo dalla radice un girasole, scavo un buco nella terra bagnata, pianto il fiore fradicio e sciupato, copro le radici con altra terra, mi sposto poco più avanti e ne pianto un altro, ricamando così tutto il perimetro sinistro del canale con un colletto di fiori dorati.

Non è il pensiero a muovermi ma il corpo, che prima quasi non c’era più, ora è unica finestra sul mondo, atomo tra gli atomi di un’intelligenza universale. Mi sento strumento nelle mani di qualcosa di spiritualmente più grande, chiamatelo dio, chiamatelo amore, bene, cosmo, animo, natura, caos… è un sentimento di grandezza, di eternità che esiste contemporaneamente con me e senza di me, un sentimento che mi precede e che mi segue, che si dilata nel tempo verso ogni direzione infinita, per sempre.

Se la bellezza non mi appartiene, almeno posso esserne grato, lasciarla libera di esistere fuori da me così come il girasole metterà altre radici e vivrà dopo di me, restituendosi al ciclo perpetuo di tutte le cose piegate dal vento della tempesta.

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