di Nicolò Luchesa
Ricorderò per sempre quella notte. Era un sabato sera di novembre, i miei amici ed io eravamo in giro a far festa per le strade di Venezia. Faceva molto freddo, la pioggia e la nebbia ci accompagnavano come muse nel nostro peregrinare di bar in bar alla ricerca dell’amata leggerezza di spirito. Dopo aver girato vari locali e aver raggiunto lo stato d’estasi, sufficiente a farci dimenticare il peso reale delle nostre esistenze, ci salutammo e ognuno prese la sua strada per l’infelice e solitario rientro a casa. Sulla via del ritorno, però, accadde qualcosa di strano e inaspettato.
Camminavo con il mio passo frenetico quando, all’improvviso, cominciai a rallentare, fino a fermarmi in un punto a caso lungo la calle con la sensazione di aver perso la libertà del mio movimento. Un senso di nausea e malessere mi investì di colpo, tutto intorno a me cominciò a girare ed una vertigine senza fine mi inghiottì, facendomi raggelare il sangue. Il freddo e l’oscurità che permeavano l’esterno sembravano aver raggiunto la mia anima, abbracciandola così forte da farmi andare il sangue alla testa, similmente a ciò che accade alla preda di un ragno avvinghiata dalla sua tela. Una sensazione familiare e allo stesso tempo straniante pervase il mio corpo che si paralizzò, portandolo ad intorpidirsi. Ero in preda ad un’insana agitazione febbrile, tremavo, annaspavo, non sapevo più cosa fare, la paura ed il terrore si erano impossesati di me. Cristallizzato su me stesso volevo scappare ma mi era impossibile. La mia voce venne meno quando provai ad urlare, come la fiamma di una candela privata dell’ossigeno. Improvvisamente davanti a me apparve qualcuno, e così, di punto in bianco, mi ritrovai davanti all’ingresso di casa mia con le chiavi in mano. Le misi nella serratura e aprii la porta. Entrai in casa insospettito, confuso e cominciai a pensare che l’accaduto fosse solamente frutto di un’ebbrezza delirante. Decisi di accogliere questa supposizione rassicurante, mi svestii e mi buttai a letto, di li a poco Orfeo mi rapì.
Nel bel mezzo della notte mi svegliai con un balzo nel cuore. Ero tutto sudato ed ansimante, come se fossi appena fuggito da un incubo tremendo. Mi guardai intorno, la luna con il suo gelido biancore illuminava il soffitto, tutto pareva normale. D’un tratto venni assalito dall’inquietante sensazione di essere osservato. Avevo la strana impressione di non essere completamente sveglio, gli occhi erano aperti, ma il resto del corpo era come se facesse parte di un altro mondo, ancora legato alla dimensione onirica. Le ombre e gli oggetti nella stanza erano come li avevo lasciati. Decisi di alzarmi, ma nel momento esatto in cui ci provai una morsa comprimente mi bloccò. Il letto perse il suo aspetto accogliente e rassicurante per tramutarsi in una claustrofobica camicia di forza.
Mi sentivo come un pazzo in manicomio, legato e privato della mia libertà, ero inerme, vulnerabile. Cominciai a sentire con sempre più insistenza il peso inesorabile del giudizio, ne ero ormai certo, qualcuno mi stava osservando. Chi era? Dov’era? Non vedevo nessuno, muovevo gli occhi su e giù, a destra e sinistra, niente. Ad un certo punto sentii un pizzicotto sulla gamba, un senso di formicolio si estese da lì per tutto il corpo, giungendo alla testa. Era la paura? Il terrore mi stava divorando dall’interno, dei vermi si stavano muovendo dentro di me, cibandosi della mia carne e del mio vissuto. Stavo forse marcendo? Ero come un corpo imbalsamato al cui interno è ancora presente una coscienza oramai lacerata. Improvvisamene da dietro la porta intravidi un’ombra, qualcosa si stava muovendo. Lentamente si avvicinava, torturandomi con la forza asfissiante dell’angoscia. Si arrestò poco prima che il suo volto potesse essere illuminato dalla luce fioca della luna. Il suo viso era protetto dall’oscurità, non voleva essere riconosciuta. Sapevo che mi stava guardando, mi sentivo come un indagato in tribunale la cui accusa è un amico familiare. Il suo sguardo mi lacerava, mi squarciava, ero nudo davanti a lei, sapeva tutto di me, come se potesse vedermi dentro, fino al segreto più nascosto e inconfessabile. Provai un senso di vergogna misto alla paura, ero imbarazzato ed un senso di colpa cominciò ad assalirmi come se fossi responsabile di un gravissimo delitto.
Che cos’era? Cosa stava accadendo? Come si può essere colpevoli senza sapere quale sia il peccato compiuto? Ma soprattutto, chi era quella figura demoniaca che mi stava giudicando? Nonostante ciò, sentivo che quella colpa mi apparteneva, nella profondità della mia anima sentivo un raschiare, un qualcosa che cercava di uscire dalla prigione della coscienza. Questa piccola entità cominciò a muoversi, risalì lentamente gli strati più profondi del mio io, liberandosi dalle catene dell’oblio. D’un tratto, l’essere che mi osservava si spostò leggermente verso la luce, in modo tale che il suo viso potesse essere ammirato. Non ci credevo, come poteva essere? Sotto quel dolce chiarore lunare apparve un viso che riconobbi immediatamente. Ero io, mi stavo osservando, e questo mio osservarmi mi spaventava.