Ripensare il paesaggio è ripensare l’identità

di Sofia Dovigo

Palazzo Fortuny, parte della Fondazione Musei Civici di Venezia e acquistato all’inizio del XX secolo dal poliedrico artista spagnolo Mariano Fortuny y Mandrazo, da cui prende il nome, ospita – parallelamente a Galleria in Corte Bugno Art Gallery – la mostra temporanea di fotografia Rethinking Landscape – Rethinking Identity. 

Oculus Foto Festival (OFF) inaugura per la prima volta a Venezia l’European Month Of Photography (EMOP) esponendo, attraverso le mostre, opere delle edizioni 2021 e 2023 in dialogo con una selezione di artisti contemporanei, fotografi italiani dell’archivio fotografico Circolo La Gondola, e con artisti emergenti europei proponendo una riflessione sulla rappresentazione contemporanea di temi attuali legati alle relazioni umane con l’ambiente, nonché sulle questioni di genere e di identità in un contesto di cambiamento sociale e climatico.

Nel contesto veneziano il Circolo fotografico La Gondola fondato sul finire del 1947, riconosciuto in Europa come “l’école de Venise”, raccoglie fotografi veneziani di diverse generazioni a partire dagli anni Sessanta, artisti e osservatori interessati alla città lagunare e al territorio Veneto, i quali si ispirano a nuove rappresentazioni del paesaggio tenendo conto di una visione critica e decostruita dell’apparente bellezza fotografata da una massa di turisti in continuo movimento. I fotografi danno un contributo autentico alla consapevolezza di questo squilibrio tra uomo e natura, del caleidoscopio identitario della laguna di Venezia tra artificialità e organicità, tra passaggio e attaccamento. 

I macro-temi indagati dalla mostra temporanea esposta nelle due sedi veneziane sono essenzialmente due. Se il tema Rethinking Landscape ruota attorno a diversi aspetti degli elementi della natura e del paesaggio, tra decostruzione ed esplorazione artistica, Rethinking Identity interroga, invece, l’identità non solo territoriale e d’appartenenza sociale e culturale, ma anche l’identità frammentata che rispecchia le esperienze individuali.

Fotografie che si impegnano a manifestare il complesso rapporto tra uomo, ambiente e identità. L’ambiente può essere inteso come spazio aereo, atmosferico, come natura, territorio contaminato e incontaminato, come luogo urbano, paesaggio, flora e fauna, come ecosistema. Una cosa certa è che ciascuna fotografia necessita della presenza umana per potersi materializzare, l’esistenza di un ambiente riportato all’interno di una cornice è, per il pubblico, determinata dall’occhio dell’artista che lo ha scelto, che lo ha osservato e dalla sua mano che ha scattato e dunque che lo ha creativamente contaminato. Un primo rapporto tra uomo e ambiente deriva dunque dal rapporto tra l’artista e il soggetto dell’inquadratura calati a loro volta in uno spazio, in un contesto emotivo. 

L’ambiente acquisisce valore emotivo per l’uomo nel momento in cui si intrecciano emozioni, storie, relazioni, un passato o un’immagine di futuro, vissuti soggettivi e collettivi. L’ambiente acquisisce significato antropico nel momento in cui è interiorizzato attraverso la memoria e l’esperienza umana di quello stesso luogo. Da queste fondamenta si può costruire un senso di attaccamento e di appartenenza ad un luogo, ad un territorio, un senso identitario, comunitario in cui riconoscersi, è la dimensione antropica dell’ambiente, una geografia emozionale che trasforma i luoghi in paesaggi interiori. Un legame che troppo spesso viene spezzato a causa di migrazioni forzate le quali spingono gli esseri umani ad un esilio lontano dal proprio essere in relazione ad un luogo, la perdita del territorio vissuto determina la perdita delle memorie, un lutto identitario da cui forse non ci si può mai veramente riprendere, che necessita della ricerca di nuovi spazi, della costruzione di nuove memorie e di coscienza ecologica volta alla cura, al prendersi cura dei propri luoghi identitari, dei propri spazi di vita. 

Una delle artiste internazionali esposte alla mostra è Lisa Kohl la cui ricerca si radica nell’analisi e nell’esplorazione di contesti migratori, confini e non-luoghi di vita e aree di sopravvivenza. Il suo lavoro offre una visione politica e poetica del territorio e della transizione. Kohl riflette sull’esilio attraverso l’incontro con l’altro, catturando le tracce dei territori attraversati rivelando ombre e vagabondaggi, e segnando una linea fragile tra il visibile e l’invisibile, la presenza e l’assenza. Le sue fotografie trattengono tracce antropiche dei luoghi visitati, segni di un passaggio umano e solitario nell’ambiente, attimi in cui la vita, una volta presente, si trasforma in un eco lontano e passato perché già migrata altrove. 

Nelle foto di Maria-Magdalena Ianchis invece, le immagini riflettono idee mentali piuttosto che il mondo esterno e suscitano una riflessione circa l’interconnessione tra la coscienza psicofisica individuale e l’ambiente. L’umanità e la natura non sono rappresentate come entità isolate, ma come organi facenti parte dello stesso corpo, dello stesso ecosistema che necessitano dunque di cura e di dialogo per poter garantire la sopravvivenza dell’intero organismo.

 “Dobbiamo smettere di immaginare la vita su un altro pianeta come un’alternativa e sviluppare strategie per un futuro in cui le persone vivano in armonia con tutti gli esseri e la natura nel suo complesso”
(Maria-Magdalena Ianchis per la serie Memories of Kötlujökull, 2020).

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