Finestre sul Canal Grande

di Pietro Gavagnin

“Finestre sul Canal Grande” è un romanzo scorrevole, semplice ma non semplicistico, che ci porta alla scoperta di due mondi completamente opposti, quello della città di Venezia e quello di Paternò, paese della campagna catanese.

Tuttavia prima di addentrarci nell’analisi del libro è necessario un breve riassunto della biografia dell’autore Antonio Russello. Egli nasce nel 1921 a Favara, in provincia di Agrigento, per spostarsi poi a Palermo per gli studi universitari. Chiamato al nord per la leva militare si innamora di una donna friulana, con cui andrà poi a convivere a Castelfranco Veneto. Qui lavorò per svariati anni come insegnante di lettere alle scuole superiori, prediligendo spesso una via giocosa durante le sue lezioni. Pubblica tra gli anni ’50 e ’80 svariati romanzi e copioni teatrali, ricavandone un discreto successo sopratutto con “La luna si mangia i morti” edito da Mondadori sulla spinta del critico e scrittore Elio Vittorini. Muore a Castelfranco nel 2001, ad 80 anni.

Per meglio interpretare il romanzo è necessario tenere presente le due patrie di Russello, la Sicilia e il Veneto. Perché nonostante trascorse tutta la vita in veneto e la sua grande ammirazione per Venezia, egli restò sempre legato alla sua terra, della quale però non ne abbracciava interamente tutti gli aspetti, come il forte bigottismo dell’epoca.

I due protagonisti del romanzo, Alfio e Gregorio, sono figli di due soci di un’azienda agricola di Paternò, che esporta arance in tutta Italia. Essi partono per un viaggio a Venezia, dove hanno il compito di riferire ai loro padri i dati sulla vendita delle loro arance e per fare qualche esperienza lavorativa al di fuori dell’azienda di famiglia. Dopo aver soggiornato in un hotel per qualche giorno affittano una stanza di un palazzo sul Canal Grande e trovano impiego come contabili in due imprese veneziane. Prima Gregorio e poi l’amico Alfio, con ritmi e modalità differenti, restano stregati dalla città lagunare. I loro pensieri ci sono noti attraverso le lettere che spediscono alle loro fidanzate, rimaste a Paternò, Agata e Caterina. Esse non comprendono i discorsi dei loro amati, che sembrano loro troppo vaghi e senza senso, che li portano a immaginare Venezia come una strega che rapisce i propri uomini, una città eccessivamente vanitosa. Nelle lettere di risposta le promesse spose rispondono ricordando loro le tradizioni del loro paese, facendo spesso confronti pratici con Venezia, tentando di dimostrare la supremazia della campagna sicula, coi sui aranceti e i suoi pastori che percorrono le pendici dell’Etna.

Lo scambio di opinioni fra i quattro personaggi dell’opera non sono altro che lo specchio letterario del dilemma interiore dell’autore, che da così voce al suo pensiero, senza mai prediligere una o l’altra tesi. Il racconto è ricco di lunghe metafore e frequenti anacoluti, oltre a varie perifrasi. Vengono più volte richiamati alcuni luoghi comuni, come i giri in gondola, le passeggiate per le calli o per gli aranceti in fiore, il passaggio dei pastori e dei zampognari opposti al volo dei gabbiani, che possono apparire come ripetizioni ma servono a variare il climax del racconto che passa rapidamente da regione a regione. 

“Finestre sul Canal Grande” edito ad oggi solo dalla casa editrice trevigiana Santi Quaranta, è un libro dunque piacevole, suddiviso in 21 capitoli che gli donano rapidità in una storia intrigante che ci fa affezionare ad Alfio e Gregorio. Ci porta alla scoperta di una Venezia e di una Sicilia di 60 anni fa e del conflitto interno di un autore che cerca di conciliarne le diversità attraverso una piacevole riflessione romanzata.