di Francesca Pascale
«Ogni volta che vado a Venezia e mi sento vicino all’acqua come “materiale”, penso al dialogo tra l’umano e il materiale. In questa mostra a Palazzo Franchetti vorrei mostrare come io creo il dialogo con i materiali. In questo dialogo non faccio quasi mai uso di un linguaggio influenzato dalla logica. E quando lo uso, è impossibile farmi capire. Ecco perché uso sempre l’Onomatopea. La materia e il corpo parlano tra loro e risuonano quando usano questo linguaggio primitivo».
Kengo Kuma

Risulterebbe posticcio cercare di far conoscere al lettore le opere dell’architetto Giapponese Kengo Kuma, partendo con una breve carrellata delle sue opere più famose. Dopo aver visitato la mostra presso Palazzo Franchetti, dal titolo “Onomatopoeia Architecture”- in esibizione dal 14 maggio al 26 novembre 2023 – mi sono resa conto che l’unico modo per rendere giustizia al sublime genio di Kuma, è parlare del suo lavoro attraverso le sue stesse parole: «L’onomatopea non vede l’architettura come il soggetto delle operazioni di attori di un rango superiore (gli architetti), ma pone architettura ed esseri umani sullo stesso piano. Gli architetti non sono a capo dell’architettura, ma camminano attorno ad essa insieme ai fruitori. L’onomatopea è simile alla voce di un animale emessa a livello fisico ed esperienziale». Queste righe fanno da eco alle mie orecchie, e le immagino pronunciate dall’architetto nel tentativo di tramutare in parole una sintesi strutturale del suo lavoro. Come le fondamenta alla base della costruzione di un progetto: le quali possono essere di un palazzo, una mostra, o semplicemente di un’idea. Mi rendo conto che, in maniera un po’ zoppicante, sto cercando di affrontare e analizzare l’esibizione attraverso termini che alla sottoscritta suonano consoni all’universo dell’architettura contemporanea, i quali, come potete notare, incespicano un po’ nel mio linguaggio inesperto, ma spero comunque che il lettore apprezzi lo sforzo e non me le mandi a dire. Un’idea, dicevamo, che sta alla base della mostra, e del percorso in cui il visitatore si trova immerso: le meravigliose mura di Palazzo Franchetti fanno da sfondo ad installazioni in metallo, legno e persino carta. Attraverso questi materiali, e alla lavorazione di essi, Kuma mostra allo spettatore la sua idea di un’architettura sostenibile «dove i materiali sono di recupero e le persone e le cose si ricongiungono. Riscoprendo le tradizioni giapponesi e i suoi materiali più utilizzati»1.
