il Flâneur e le sue notti a venezia

di Francesca Pascale

Ultimamente percepisco la frenesia di Venezia fin dentro alle vene. Come una locomotiva, carica vapore incessantemente, senza mai arrestarsi. E’ una frenesia positiva, ci sono marmaglie di persone febbricitanti ammassate qua e là per le calli e i campi veneziani,  stimolate dal fare chissà poi che cosa. Sono molto sensibile e suscettibile a questa nuova sensazione, a causa della mia recente insonnia. Le dolci e suadenti braccia di Morfeo sono assenti nella mia vita da qualche mese, le devo costringere a farmi cullare con sporadici metodi. Questo improvviso abbandono ha lasciato spazio a un vuoto: prive di sogni, le mie notti sono diventate lunghe, ma anche intrise di un inaspettato fascino. 
Mi è capitato spesso di rotolarmi senza sosta nel letto, fin quando ho deciso di spezzare questa lunga catena di Sant’Antonio, alzandomi ed uscendo di notte. Sgattaiolo dalla porta di camera mia e mi addentro nelle silenziose calli di Santa Marta. Devo ammettere che l’avanzare di questa nuova e strana abitudine è stata accompagnata da un sentimento perturbante: se da una parte percepivo l’angoscia di passeggiare da sola nelle ore più profonde della notte, dall’altra una sottile curiosità – e forse anche disperazione? – mi spingeva a non ascoltare quel timore, e ad andare. 
Durante queste passeggiate en solitaire, si incontrano sporadici personaggi insoliti, i quali pare abbiano fissa dimora fra le maglie della notte: c’è chi passeggia col cane assonnato, chi torna da qualche festa un po’ ammaccato, il netturbino, l’operaio e chi va a zonzo con l’unico intento di camminare, forse nella tentata speranza di riuscire ad espiare un chiodo fisso, o un ricordo. Mentre passeggio per Zattere, cerco di ascoltare la silenziosa notte buia: gremita di stelle, mi parla, mi dice qualcosa ma io non riesco a coglierene bene il senso, una frase, un sussurro che mi sfugge. Le parole sono appannate dal gracchiare dei gabbiani in volo, sinceramente non so stanotte cosa voglia dirmi la luna, e nel frattempo mi domando: ma come mai non si dorme più? Non capita solo a me questo strano fenomeno, anzi, negli ultimi mesi mi è capitato di incontrare diversi individui che condividono questo mio vissuto.Sono celebri ai più le lunghe notti insonni di Céline, notti lunghe ed interminabili passate a scrivere: “Non credete mai di primo acchito all’infelicità manifestata dagli uomini. Chiedete loro solo se riescono ancora a dormire. Se si, vuol dire che in realtà va tutto bene: non sono infelici”. Nonostante questa ferita aperta Louis Ferdinand Céline scrisse il suo capolavoro “Viaggio al termine della notte” proprio durante le sue notti insonni, forse è proprio sbagliata la domanda che mi pongo: la perdita del sonno è una condanna o forse una liberazione? Se si cambia punto di vista, è la bizzarra concessione della possibilità di impegnare il proprio tempo in attività che il giorno, con la sua frenesia, non ci concederebbe. Forse la cosa più giusta da fare è abbracciare questa notte silenziosa e non mostrarci ostili ad essa; anziché dare le spalle al mondo, cercare di tuffarci dentro alle occasioni che si palesano dinanzi a noi, anche se nella maniera più bizzarra possibile. Sono le cinque, tra qualche ora il mondo tornerà a scoppiettare, i banchi di nebbia iniziano a salire dalla laguna infoltendo l’aria delle calli, ma non è ancora il momento dell’eterno ritorno dell’uguale: c’è uno spazio che viene a crearsi tra le Tre e le Cinque di notte in cui tutto è immobile ed eterno, le regole del caso non hanno più valore e lasciano spazio solo allo stallo dell’attesa. Sono le Sei, il sole sorge e il mondo ricomincia, torno a casa, vado  a (non) dormire.

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