Intervista a Marco Pinna – La mia vita come mille vite

La mia arma, acrilico su tela 20x20cm anno 2021

di Anna Dameri

“Ho questo ricordo, avevo 5 o 6 anni, quel giorno avevamo visto il benzinaio che era un amico di famiglia e ci aveva raccontato come mai fossero dovuti fuggire da Napoli, la mafia aveva ucciso un loro parente facendogli il capretto perché non aveva pagato il pizzo . Mi ricordo ancora il momento in cui chiesi ai miei se anche loro sarebbero morti un giorno, mi hanno risposto in maniera molto diretta di si, dicendomi che è normale. In quel momento ho sentito la pesantezza dell’annullamento dell’individuo, la caducità della vita, e mi sono detto che volevo creare qualcosa di eterno. Dopo ho sempre pensato di essere qui per un motivo, per lasciare un segno, dicevo agli amici di mia sorella più grande che sarebbero andati a prendere i miei disegni nella mia tomba. Sicuramente c’è dell’arroganza, sento fin da piccolo di avere un ruolo. Penso che dipingere sia l’unica cosa per cui posso essere utile alla società.” 
– cit. Marco Pinna

È un gioco alchemico come fa la mamma, acrilico su tela , 50x50cm anno 2021

Marco Pinna, classe ’92, è un artista poliedrico con base a Venezia. 
Ho deciso di riportarvi l’intervista così come è stata fatta: un monologo nel quale il soggetto si racconta personalmente, senza deviazioni o intrusioni. Questo testo riporta la verità intima di Marco, la sua trasparente narrazione così come mi è stata raccontata. La sua è una voce da messaggero, che si alza forte per diffondere un’idea.

“Io vengo da Roma, vengo da una cultura di periferia, affrontare l’arte in un ambiente così è difficile, non viene presa come qualcosa di serio, non viene valutata come dovrebbe essere, anche se l’arte nella periferia può migliorare il luogo. Di conseguenza sono partito da solo alla volta di Venezia, anche se ad essere sincero non mi era mai piaciuta, però sentivo di dover evadere dalla mia città Natale e sono entrato nell’ambiente accademico veneziano.
Entrato in questa istituzione ho intrapreso un percorso artistico che inizialmente è stato difficile per me, venivo da un ambiente in cui non avevo mai avuto un vero confronto su quello che facevo, quando invece le critiche sono una parte fondamentale del percorso.
I primi anni sono stati di sperimentazione: facevo rappresentazione figurativa, cercando costantemente la perfezione. Poi ho capito che per me non aveva senso rincorrere il bello per dare un significato a qualcosa che è un po’ più poetico, perché la gente poi si sofferma solo sulla perfezione e non sul messaggio che si vuole trasmettere. 
Allora ho iniziato un percorso di ricerca personale e, sperimentando metodi alternativi per la creazione dell’opera, mi sono soffermato sul processo di realizzazione: partendo da un’idea, volevo dare un messaggio, ero diventato quasi surrealista ma il significato ancora si perdeva, in più all’epoca ero ancora molto acerbo, non avevo uno stile definito. 
Un giorno mi sono imbattuto in degli oggettini che trovavo sulla strada da piazzale Roma  all’Accademia, ho iniziato ad usarli per fare dei collage: una volta, in un quadro, ho usato la fototessera di una bambina, posizionandola come se stesse guardando, da dietro la finestra, la nonna dondolarsi su una sedia.

Da vicino, 15×15 cm olio su tela e collage

Questo processo ha distrutto la mia ricerca dell’immagine perfetta, non serviva più, ho iniziato a identificare con pochi segni, dare già in sé l’idea, quasi rendendo l’immagine grottesca. Sono andato agli opposti, mi sono autodistrutto e mi sono ricreato.
Dopo ho tolto i collage e sono rimaste solo le rappresentazioni dei personaggi. A quel punto ho avuto il blocco dell’artista: avevo trovato il mio stile ma non l’idea. Questo mi ha portato ad avere un periodo pesante, non avere l’idea era frustrante, un creatore quando non sa più cosa creare si autodistrugge mentalmente. 
Però i periodi bui possono essere utili, se si continua a perseverare si possono trovare degli spunti per creazioni future. Alla fine l’arte è un continuo sperimentare, un continuo affrontare se stessi, la cosa più difficile è mettersi a nudo: nell’arte devi dare te stesso agli altri e questa è la parte più complessa. 

Progetto del padre, mixed media su tessuto,(arte terapia con mio padre) 200x180cm 

Io ho un problema di insonnia, viene da una mia insicurezza legata all’infanzia, da un bisogno di tenere tutte le situazioni sotto controllo, in pratica non riesco a dormire perché ripenso a tutte le cose della giornata. 
Questo mi ha portato a unire la mia sperimentazione artistica con il mio percorso psicologico: ho iniziato a raccontare le cose che mi capitavano intorno, prima solo con sketch a penna e matita, poi piano piano ho iniziato a dipingerci sopra.

Nell’oscurità ho trovato il filo universale e la sua luce mi ha illuminato, acrilico su tela, 70x70cm , anno, anno 2020, ( opera finalista nel 2021 al combat prize) 

Poco tempo fa ho avuto un altro blocco, perché con la mia arte arrivavo solo a persone che vivevano come me quella situazione, quindi ora come ora sto cercando di trovare, tramite quello che faccio, un messaggio comune, in modo che anche chi non vive la stessa situazione possa comprenderlo e non sentirsi solo. Con le mie tele voglio trasmettere un senso di solidarietà. 
Quando accade qualcosa che mi innervosisce, piuttosto di tornare a casa e non riuscire a dormire perché rimacino, dipingo: è una cura personale che vuole essere un messaggio di solidarietà per gli altri. Per esempio, all’epoca del covid facevo il rider e la polizia mi ruppe la bicicletta inseguendo un ladro, io non potevo più lavorare, non avevo soldi e mi sono sfogato facendo un quadro su quella storia, è stato terapeutico. È il mio modo di affrontare i miei demoni, per buttare fuori, per non creare un muro e non lasciarmi sopraffare dalle situazioni: sfrutto i momenti bui per darmi l’energia. Ho visto che l’arte non viene mai dalla felicità, quindi quei momenti difficili sono il fulcro del mio dipingere, prendo tutta quella matassa di brutti problemi e li ricompongono per creare qualcosa di bello, una sorta di metamorfosi dell’atto doloroso in energia per andare avanti. 
Io provo molto più piacere nell’atto della creazione, una volta finita la tela non mi interessa più, quindi devo continuamente ricercare e creare, come se fosse una droga. Ogni tanto stoppo l’atto del dipingere per vivere e cercare nuove ispirazioni, la vita è la mia più grande musa: creo tutto tramite la memoria del mio vissuto.

Attento a mostrà le ferite, acrilico su tela 20x20cm 

A livello grafico, mischio diverse tecniche (bombolette, acrilico, olio), principalmente uso l’acrilico, per la sua rapidità, voglio avere un rapporto istantaneo con il medium, perché io sto raccontando l’istante. Ogni tanto mi trovo a fare delle notti in bianco perché quando inizio un’opera devo finirla, odio lasciarle incomplete. Questa immediatezza dell’opera comporta un problema, quando poi la finisco mi rendo conto delle cose che non funzionano ma non posso più rifarla perché ormai è parte del passato.

Re(l)azioni, Mixed media 120x80cm 

Ora ho un progetto di vita, sto cercando di creare un fumetto che dovrebbe essere diviso in 3 parti: giovinezza, maturità, saggezza o vecchiaia. Inizia con me che da Roma arrivo a Venezia, impaurito dallo stare fuori casa per la prima volta, ancora incerto come artista e soprattutto a livello umano ma con la volontà di dare un senso alla mia scelta, ovvero di andare contro l’idea della mia famiglia che voleva che io facessi un percorso stabile, mentre io non mi sono mai sentito quadrato. Vorrei riuscire a dire a quelle persone che per tutta la loro vita si sono sentite quadrate, che da quadrati si può diventare tondi, se si ha perseveranza in quello che si vuole, prima o poi lo si ottiene. Una sorta di maratona che dura tutta la tua vita, questo è il senso che io ho dato alla mia esistenza. 
Quindi adesso sto scrivendo della giovinezza, per la maturità facciamo passare ancora un po’. Tramite questo fumetto voglio raccontare come una persona possa cambiare attraverso tutte le sue esperienze che fa nel corso della vita.
La mia vita è solo un esempio, la mia vita come mille vite.”

La vita è una scacchiera, Acrilico su tela 100x120cm

Nell’arte di Marco l’unico imperativo è la vitalità. Con questo non intendo il falso mito della  purezza della vita, bella e incontaminata, un pensiero che risulta inconsistente a chi si è esposto integralmente a questo mondo sporco, a chi l’ha toccato con le proprie mani e ora non riesce e toglierselo da sotto le unghie. Intendo la vitalità come vita che vuole se’ stessa * , forza incontrollabile sempre pronta a inghiottire un attimo per passare al prossimo, insaziabile nel suo progredire. Marco con la sua arte metabolizza attimi, scompone la sua storia per renderla più leggera, per digerirne la complessità. In questo modo crea un flusso continuo tra accadimento e narrazione, tra l’atto del dipingere e la voce personale. Una voce che vuole solo raccontarsi, che urla tutte le sue gioie e tutti i suoi dolori, quasi segnata dalla follia, una follia poetica, dionisiaca, tanto che si è ritrovato a dover grattare delle vecchie tele per poter dipingerene di nuove. 
Questo monologo artistico vuole trasmettere un senso di solidarietà, condividere l’assurdità dell’esistenza, per questo bisogna sottolineare l’importanza della frase di Marco “la mia vita come mille vite”: non vuole celebrare la sua vita come qualcosa di straordinario, ma come qualcosa di ordinario, comune, l’arte che lui fa celebra il caos che inevitabilmente accompagna la quotidianità della vita, lui ha trovato il modo di gestire il disordine che lo circonda e ci invita a osservare questo processo.

Trovati e persi tra granelli di sabbia , mixed media 40x30cm
L’Imperativo free!!!

1 commento su “Intervista a Marco Pinna – La mia vita come mille vite”

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