Intervista ad Augusto Maurandi, co-fondatore e direttore di Spazio Punch

di Sofia Dovigo

Augusto Maurandi fonda nel 2011 Spazio Punch, entità artistico-culturale non-profit nell’Ex Birrificio Birra Venezia sull’isola della Giudecca.
Per definire il ruolo di Maurandi nello Spazio sarebbe necessario un ripensamento di significato della parola «curatore»: il suo è un approccio all’arte e agli artisti che si manifesta e si articola in un’ottica orizzontale piuttosto che tradizionalmente verticale. Maurandi raccoglie e assorbe gli stimoli esterni promuovendo una ricerca divergente che esprima un lavoro collettivo e interdisciplinare.
Spazio Punch rappresenta una realtà indipendente di contaminazione artistica fortemente autoriale, uno spazio polivalente che si interfaccia con le istituzioni veneziane e internazionali, ma che tuttavia trae la sua linfa vitale da un fermento creativo underground e subculturale.

Spazio Punch è stato fondato nel 2011, come è nata l’idea di creare questo spazio e dall’unione di quali sinergie e intenti? Che cosa rappresenta la vostra organizzazione nel contesto veneziano?
Lo Spazio è stato fondato con l’idea di creare una realtà dove si potessero sviluppare delle ricerche non solo nel campo dell’arte contemporanea, ma anche in quello della moda, dell’architettura, del publishing, dando così spazio a nuovi ecosistemi con l’obiettivo di creare terreno culturale fertile. 
Spazio Punch nasce come un «centro culturale» che necessita del sostegno delle istituzioni per sviluppare la sua programmazione, l’idea era creare un dispositivo parallelo che potesse essere di riflesso a istituzioni come l’accademia e l’università, un dispositivo di trasformazione delle istituzioni, era un progetto molto ambizioso, ma penso che ci siamo riusciti.
Il primo progetto che abbiamo curato nel 2012 è stata una mostra che si chiamava «L’Edicola». Era una mostra di publishing curata da Saul Marcadent a partire da un’idea mia e di Lucia Veronesi, anche lei fondatrice di Punch. Marcadent ora tiene la prima cattedra di publishing allo IUAV a riprova che tanti momenti che si sono creati in questo spazio si sono poi sviluppati anche in altri contesti. 
In questi anni abbiamo realizzato molti progetti e mostre importanti: il Cruising Pavillion, che, partendo da «Gay sex, architecture and cruising cultures» indaga, attraverso gli occhi di artisti e architetti, le pratiche del Cruising, la «Fabbrica Illuminata», riproduzione dello spettacolo del ‘68 di Luigi Nono, e Pareidolia, allestita e curata dagli Zaven. 
Nel 2023 per Biennale d’Architettura abbiamo realizzato una mostra molto grande dal titolo «Garage Dallegret» in collaborazione con l’artista François Dallegret, che ha avuto un bellissimo impatto, è piaciuta molto, è stata una ricerca nostra dello spazio riportata anche dalla rivista Domus.
Per quello è sempre importante fare un lavoro di ricerca dietro le quinte anche in riferimento a idee morte per riattivarle, se possibile attraverso nuove rappresentazioni e contaminazioni artistiche.

Cosa si intende per «si colloca in una zona intermedia tra istituzionale e underground»? Come si manifesta questa polivalenza?
Lo Spazio si interfaccia con istituzioni come la Biennale: ospitando dei progetti selezionati otteniamo le risorse necessarie per implementare anche il programma indipendente di Punch. L’intento è anche quello di mettersi a confronto con le istituzioni, però facendole vibrare dall’interno, da un certo tipo di controtendenza, di underground affinché possano vivere delle idee indipendenti alla ricerca di nuovi linguaggi, sinergie, spinte culturali, mosse da un’energia embrionale che le possa far crescere, un dispositivo in dialogo con le istituzioni, ma che pur sempre mantiene una sua cifra identitaria e di ricerca creativamente autonoma.

Su cosa si focalizza la ricerca creativa fortemente interdisciplinare di Punch, distribuita tra le tre aree della programmazione?
Per quanto riguarda la collaborazione con Biennale, ad esempio, il Cruising Pavilion del 2018 è stato prodotto da noi come progetto indipendente dal contesto istituzionale, si è poi interfacciato con Biennale solo in qualità di critica in relazione al padiglione Vaticano presente sull’isola di San Giorgio.
La ricerca è costante, ci sono tematiche che abbiamo indagato e ricercato nel tempo e che adesso sento abbiano preso corpo e struttura dopo quasi dodici anni di attività, un esempio è anche il progetto «BelMondo» del 2022, una galleria eterogenea di artisti che negli anni hanno gravitato attorno a Spazio Punch e alla città di Venezia.
Un altro esempio è la prossima mostra del progetto Fase Falena «Tropes of Vulnerability» curata da Saverio Rufini, artista che lavora nella moda, in contatto con l’arte visiva che mi ha presentato tutta una serie di autori creativi e lui si pone come curatore di fronte a questo progetto, è una struttura che abbiamo costruito lavorando nel tempo attraverso la relazione con gli artisti.
Poi fondamentale è il contatto con le persone, per esempio la mostra «Supporto Vivo», che abbiamo appena ospitato per Fase Falena, era un laboratorio dello IUAV in collaborazione con Thomas Braida che tiene il suo primo corso di laurea a IUAV, ci interessava proporre un laboratorio che potesse coinvolgere i suoi ragazzi per quel tipo di ricerca. 
Abbiamo accolto Braida e Messali in questo spazio perché curiosi di vedere il suo esperimento creativo con i ragazzi, è stato molto riuscito, anche come storia e anche come teoria punch-esca sperimentale.

Fase Falena è un insieme di tre progetti effimeri e momentanei – Flussi, Supporto Vivo, Tropes of Vulnerability – qual è la trama che li avvicina, il filo rosso che li collega o gli eventuali contrasti e dissonanze che emergono?
L’idea era realizzare tre progetti di brevissima durata. Tutti sono diversi, sono come farfalle o entità effimere che si spengono in una notte, che hanno vita breve. Ospitiamo artisti che rimarcano l’identità indipendente di Punch: Matilde Sambo per «Flussi» (19/01), Braida e Messali per lo IUAV Lab «Supporto Vivo» (26/01) e Saverio Rufini per «Tropes of Vulnerability» (10/02).
Matilde Sambo, ad esempio, è un’artista contemporanea ed espone in diverse gallerie, a Punch invece è venuta in veste di musicista a presentare il suo primo libro. Non è Matilde artista contemporanea, ma è Matilde rappresentante di un racconto di cultura locale, di un racconto veneziano. Dopo ha fatto una cosa molto effimera, una performance musicale in cui suonava la soundtrack del video da lei prodotto.

Quale valore attribuite alla contaminazione creativa tra le arti e la musica, tra il visivo e la performance sonora? Mi viene in mente anche la collaborazione con BruTaLabel?
Per quanto riguarda i concept valoriali e curatoriali le mie reference sono dei produttori musicali come Brian Wilson dei Beach Boys, Phil Spector, Rick Rubin, o Malcolm McLaren, manager dei Sex Pistols. Le decisioni curatoriali sono come quelle di un produttore musicale: l’artista e la mostra devono suonare bene insieme. Quasi tutti gli artisti che sono passati per Punch sono in relazione con la musica.
Tra alcuni esempi ci sono le due mostre realizzate con Jacopo Benassi, fotografo performer e musicista: una personale, e un’altra di fotografia durante la Biennale del 2021 dal nome «Penisola». 
Musicalmente nel 2017 abbiamo realizzato «La Fabbrica Illuminata» di Luigi Nono con Alvise Vidolin alla regia, collaboratore di Nono, per produrre un suono il più aderente possibile all’originale. 
Il coinvolgimento di BruTaLabel, invece, è avvenuto attraverso Fabio Dervishaj il manager di BruTaLabel, lui ha messo insieme tutta l’intelligenza musicale locale del territorio a partire dai suoi amici per istituire un’etichetta. Lo stesso fa un curatore che mette insieme un gruppo di artisti per fare una mostra.
L’idea, quando abbiamo presentato BruTaLabel, è che volevamo creare un’esperienza che unisse il DJ set a gruppi musicali live. Sempre durante il Covid, abbiamo realizzato TV Punch, un progetto di performance anche musicali perchè l’unico permesso che si aveva per stare insieme era fare un film o registrare. L’idea era creare una televisione, TV Punch e si doveva presentare come si faceva con la TV una volta, si è suonato, si è performato. La musica per me è fondamentale per capire i tempi contemporanei ed è molto più sincera e immediata di tanta arte, è molto più trasformativa. 

Cosa avete in programma per il 2024, c’è un’area o un’idea specifica che vi piacerebbe implementare o con cui vorreste sperimentare? Quali sono le prossime date da salvarsi in calendario?
Prossimamente ci sarà una mostra con il corso di comunicazione di IUAV in collaborazione con il professor Saul Marcadent. In questa mostra emerge un linguaggio che si articola tra l’arte, la comunicazione, la sperimentazione. Abbiamo messo a disposizione lo spazio che è stato ben allestito, e volevo che loro si mettessero a confronto con uno spazio indipendente, fuori da quello universitario per poter amplificare la loro voce e coinvolgere un pubblico più ampio e variegato. 
Stiamo ancora valutando cosa farà Punch nel 2024, sicuramente svilupperemo una mostra di publishing nel bookshop e in estate magari realizzeremo dei progetti all’estero, progetti estemporanei che comunque comunicheremo un pò alla volta sui social.
Fase Falena in questo senso è stato un test per provare a metterci in gioco anche rispetto a progetti più effimeri e temporanei, e fino a ora ha ricevuto un ottimo riscontro dal pubblico a livello di risonanza, vedere lo spazio vivo e animato, vedere i frutti del lavoro che c’è dietro è sempre molto bello, i progetti che ospitiamo qua hanno una luce, un’aura diversa, si illuminano diversamente. Fare tutto questo implica tanto sforzo, tanta cura e impegno, è importante fare delle scelte curatoriali, mettere insieme persone che lavorano indipendentemente e costruire delle sinergie tra gli artisti a Punch, rapporti che prendono forma in questo spazio e che si contaminano positivamente. 
Il programma progettuale offre la speranza che a livello creativo possa stimolare anche altre realtà, perché tante cose che noi facciamo, le facciamo vedere per incentivare gli altri a muovere delle idee controtendenza e innovative per non ricadere sempre nella proposta delle stesse forme, delle stesse formule e dello stesso linguaggio. 

Come risponde la città di Venezia a questo spazio? Quali sono le sfide e quali le opportunità?
Steve Jobs diceva che per un cambiamento a lungo termine bisogna lavorare sulle persone in modo che poi possa svilupparsi una trasformazione nell’istituzione. Io mi rivedo molto in questa cosa.
A Venezia gli spazi istituzionali sono istituzionali e dunque devono seguire delle regole predefinite. Qua invece si è più liberi di gestirsi, di muoversi in una zona franca e indipendente dall’istituzione, ma che allo stesso tempo può trasformare l’istituzione.
La relazione che c’è con la città è molto buona, perché è sempre positiva, stimola a tenere l’asticella molto alta perché sei immerso in un’offerta culturale di alta qualità, Per quello tra istituzione e underground, e la risposta del pubblico è molto positiva nonostante l’intellighenzia creativa che costruiamo qui a Punch non sia quasi mai composta da creativi insediati nella città in modo permanente, molti vanno all’estero dopo un periodo qui e questo ci costringe anche a rinnovare sempre la composizione del team e degli artisti con cui lavoriamo. 
La città può diventare limitante per gli artisti indipendenti, allo stesso tempo ogni disciplina qui trova punti di contatto con le altre, la moda, la musica, l’architettura, gli artisti, gli scrittori, tutto si mescola e trova modo di contaminarsi in un unico ecosistema. Punch vuole riflettere tutto questo, vuole portare speranza per il futuro e per questo vale la pena continuare a lottare.

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