peter brook a venezia: the tempest project, la magia di un teatro “povero”

di Francesca Pascale

“…and then, in dreaming,
The clouds methought would open, and show riches Ready to drop upon me; that, when I waked, 

I cried to dream again.” 
W. Shakespeare, The Tempest 

“The Tempest Project” è il titolo dell’ultima pièce teatrale diretta dal regista britannico Peter Brook, che ha debuttato in Italia, lo scorso inverno, presso il Teatro Goldoni di Venezia. «Lo spettacolo nasce da un lavoro di ricerca approfondita sulla Tempesta che Peter Brook e Marie-Hélène Estienne hanno voluto condurre al Théâtre des Bouffes du Nord per scoprire i diversi livelli di significato dell’ultima opera di Shakespeare»1, scrive la pagina introduttiva del sito web di Teatro Stabile del Veneto. In questo spettacolo tornano a mostrarsi come in una danza, dinamiche essoteriche ed esoteriche, che molto spesso sono caratteristiche dell’impronta creativa dell’autore-regista: il ruolo della parola e del corpo degli attori si riempiono di diversi significati e significanti: «nel tentativo di afferrarne gli aspetti più elusivi legati al mondo metaforico della magia, che spesso risultano di difficile comprensione per attori e pubblico contemporanei»2. Come ben sanno gli amanti di Peter Brook, il suo è un teatro povero3 . Anche in “The Tempest Project” al centro del palco solo due panche che fanno da scenografia, un teatro spoglio quindi. Il titolo dato alla pièce implica una ποίησις4, un progetto, una produzione: «L’idea che la ricerca sia in divenire – e che attraversi la vita artistica di Brook – è suggerita fin dal titolo di questa nuova produzione, che ha debuttato al Teatro Cucinelli di Solomeo: The Tempest Project. La collaborazione, ormai storica, con Marie-Hélène Estienne dona alla drammaturgia la grazia di elisioni sapienti, che toccano la parola shakespeariana senza alterarne il delicato rapporto tra densità e levità».5  Densità e levità, per l’autore-regista, sono due essenze che si intersecano le une con le altre, senza mai però annodarsi. Ne “Lo Spazio Vuoto”, il regista rispetto alla concezione di sacralità, scrive: «Per semplificare lo definisco Teatro Sacro, ma potremmo anche parlare di Teatro-dell’Invisibile – Reso-visibile. L’idea che il palcoscenico sia un luogo dove può apparire l’invisibile ha una forte presa sulla nostra immaginazione […] gran parte della vita sfugge ai nostri sensi: la spiegazione più efficace delle diverse arti è che trattano di modelli che possiamo cominciare a riconoscere soltanto quando si manifestano come ritmi o forme»6. Il compito del regista è quello quindi di svelare, attraverso i corpi e le parole – in questo particolar caso tramite il λόγος7 Shakesperiano – ciò che non è visibile all’occhio fisico, ma che apre ad un’altra visione: quella dell’immaginazione intesa come terzo occhio, il pineal eye, direbbe Georges Bataille. Il teatro di Peter Brook ha una missione: non vuole essere un teatro digestivo. Mi rendo conto di quanto sia tautologica e probabilmente anche banale quest’affermazione: ovviamente il teatro del regista inglese, vuole stabilire un rapporto di necessità fra il teatro e l’esistenza più propria dell’uomo, non può assolutamente essere un teatro digestivo, sarebbe un paradosso. Soprattuto per chi, come Brook, ha il coraggio di mettersi costantemente in gioco ed in discussione con Shakespeare, «La relazione di Peter Brook con William Shakespeare è contraddistinta dalla ricorrenza: non sono mai trascorsi, nella lunga carriera di Brook, più di cinque anni tra una regia shakespeariana e l’altra, a volte con riprese della medesima opera»8. La visione di uno spettacolo di Brook è da considerarsi come un evento: non accade solo di vedere e sentire una messa in scena teatrale. Lo spettatore viene nutrito da un’esperienza: l’entrata e l’uscita dalla sala segnano l’inizio e la fine (almeno temporanea) di un processo, il buon teatro è proprio quello che a sipario chiuso ti lascia con delle domande aperte, perché è un’esperienza che ci cambia, inizia a macinare e a smuovere le nostre anime. Ed è proprio la concezione di Teatro ruvido ad essere la perfetta sintesi del lavoro di Peter Brook, «è sempre il teatro popolare a salvare la situazione. Nelle diverse epoche ha assunto molte forme, ma l’elemento che le accomuna è uno soltanto: una certa ruvidezza»9 e, prosegue il regista «ho avuto tante discussioni inutili con gli architetti dei teatri e ogni volta ho tentato, invano, di trovare le parole adatte per spiegare che il problema non è se gli edifici siano belli o brutti: può darsi che in uno spazio splendido non vi sia mai un’esplosione di vita e che una sala qualunque, invece, sia uno straordinario luogo d’ incontro. E’ il mistero del teatro»10. “The Tempest Project” è essenzialmente un’apologia alla vita: un omaggio a tutte quelle esistenze che sentono la necessità di essere punte nel profondo da qualcosa di inaspettato, ma che in realtà è più vicino a noi di quanto immaginiamo poichè ci riporta a una sfera di senso molto antica in noi, vicina all’origine, al sacro. Ed è anche per questo che dopo secoli le parole di Shakespeare sono in grado di scuotere ancora le nostre menti ed i nostri cuori: grazie all’operato di registi – e ovviamente anche di attori – di spirito come Peter Brook, che riescono ancora a rendere in carne queste parole. 

  1. Cfr. “Teatro Stabile del Veneto – events”, 2022(Tempest Project | Teatro Stabile del Veneto (teatrostabileveneto.it) 
  2. Ibidem.
  3. Cfr. J. Grotowsky Per un Teatro povero, Bulzoni Editore, Roma, 2017. Peter Brook ha subito fortemente l’influenza della visione teatrale di Grotowsky e della conseguente rivoluzione artistica che ha attuato. Per questo motivo il regista britannico fa parte di quelli autori che potremmo ricollegare alla sua visione di un teatro spoglio di elementi esterni, indipendentemente dal corpo e dall’opera attoriale in scena, che quando di qualità, è l’unica essenza che serve a produrre un buon spettacolo. 
  4. Dal greco antico poiesis, significa propriamente il fare dal nulla, da cui deriva anche l’etimologia della parola poesia.
  5. Cfr. I. Rossini, “L’enigma della libertà. Tempest Project di Peter Brook”, 2021 (L’enigma della libertà. Tempest Project di Peter Brook – Teatro e Critica ).
  6. P. Brook, Lo Spazio Vuoto, Bulzoni editore, Roma, 1998 p. 53.
  7. Dal greco antico Logos, cioè il pensiero e la parola. In questo specifico caso inteso come parola. 
  8. Cfr. I. Rossini, “L’enigma della libertà. Tempest Project di Peter Brook”, 2021 (L’enigma della libertà. Tempest Project di Peter Brook – Teatro e Critica )
  9. Ivi, p 75. 

Riferimenti Bibliografici:
J. Grotowsky Per un Teatro povero, Bulzoni Editore, Roma, 2017
P. Brook, Lo Spazio Vuoto, Bulzoni editore, Roma, 1998

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