Intervista a Marco Bravetti fondatore di TOCIA! Cucina e Comunità

Intervista di Sofia Dovigo
Foto di Giulia Bastoni

Tocia! è un invito, una chiamata alla mescolanza, alla contaminazione, alla trasformazione collettiva che trova la sua origine nella cucina, nella pratica della convivialità: mangiare insieme e vivere insieme. Il convivio si esprime attraverso la relazione, la convivenza, la costruzione di un momento rituale e comunitario che trova il suo pretesto fondante nella condivisione del cibo come pratica simbolica ed emozionale: mangiare insieme per vivere insieme. 

Tocia! nasce nel 2020 come «collettivo conviviale» dalla necessità dello chef Marco Bravetti di intrecciare la pratica gastronomica all’indagine relazionale tra comunità ed ecosistema anfibio lagunare. Questo in una prospettiva di attivismo ecologico e sociale per un «vivere insieme» più consapevole.

Cos’è Tocia!, quando è nata, la scelta del nome e quali sono i valori che sostengono l’Associazione? 

Il progetto è nato da un mio bisogno di distaccarmi dall’ambiente della ristorazione e dalla cucina di brigata in cui lavoravo ove la pratica gastronomica è pressoché finalizzata alla realizzazione di prodotti di consumo a scopo commerciale. Sentivo l’urgenza di calare la cucina all’interno di un contesto di ricerca collettiva, di costruzione di una dinamica relazionale, di crescita comunitaria, di sensibilizzazione ecologica. 

La dimensione di relazione in questo senso è dunque fondamentale, sta alla base di tutto il progetto. Relazione che si costruisce tra comunità e paesaggio attraverso dispositivi conviviali testimoni della dimensione umana, simbolica, rituale, relazionale e politica di una pratica gastronomica che, mescolandosi alla vita in modo impegnato, non si limita ad una dimensione puramente estrattiva e consumistica, ma si configura come esercizio di attivismo sociale ed ambientale.

La necessità condivisa dal nostro team di ricercat_, artigianə, artistə, cuochə è la ricerca di dispositivi che codifichino e traducano nuove modalità di stare insieme, di condivisione, di contatto con l’altro e con l’ambiente. Incontrando dunque un grande vuoto rispetto all’esistenza di spazi dove poter intrecciare questo tipo di linguaggio e di pratica collettiva è nato Tocia! Cucina e Comunità –  piattaforma interdisciplinare di indagine rispetto al paesaggio lagunare e alle relazioni umane che lo abitano attraverso rituali culinari.

Il nome deriva dal tocio che significa «sugo», «salsa», «intingolo», una dimensione in cui ingredienti e sapori si mescolano, si trasformano diventando sempre altro da sé arricchendosi di volta in volta. A comporre il tocio possono essere, ad esempio, gli umori dei folpetti in umido, le seppioline grigliate condite con olio, aglio e prezzemolo. Le colature di questi ingredienti racchiudono tanto del gusto e dell’essenza di un alimento associando il gesto del mangiare non più ad un mero atto di sopravvivenza, ma ad una ritualità significante legata al piacere e alla convivialità. 

Il tocio è la nostra salsa manifesto e tocia – dal dialetto tociar: «intingere», «immergere» – è il nostro invito a mescolarsi, ad immergersi, a tuffarsi all’interno di quest’idea di relazione con il paesaggio e con la comunità attraverso la cucina. 

Il tocio è dunque il dispositivo simbolico attraverso cui innescare la ritualità edificante della comunità e ri-fondare un’identità collettiva materialmente e spiritualmente connessa alla dimensione lagunare.

Cosa guida la scelta degli ingredienti e dei prodotti in relazione al territorio lagunare?

Partiamo dalla materia scelta all’interno di filiere a corto raggio con produttori locali. Per quanto riguarda verdure e ortaggi il reperimento si svolge tra il litorale e Sant’Erasmo, i prodotti ittici, invece, li procuriamo attraverso rapporti con i pescatori della laguna e scegliendo all’interno della disponibilità del Mercato di Rialto, pur misurandoci in modo critico con quella che è la sua dimensione commerciale. Cerchiamo di fare scelte etiche a livello di acquisto della materia prima, allo stesso tempo vogliamo restituire una pratica che sia quanto più accessibile sia da un punto di vista di reperimento dei prodotti, sia di realizzazione e di manodopera, facciamo la spesa come potrebbe farla un cittadino consapevole in città. Collaboriamo anche con l’orto del carcere femminile della Giudecca, con Microclima e gli agrumi portati da Paolo Rosso, con i trasformati e i fermentati di Manos, realtà veneziana di autoproduzioni alimentari. 

La nostra cucina vuole essere alla portata di tutti e coltivare un rapporto diretto con la comunità affinché la conoscenza diventi un patrimonio accessibile, condivisibile per una progressiva acquisizione di consapevolezza ecologica. Il passaggio tecnico-artigianale che traduce le nostre necessità politiche, ecologiche, simboliche, sociali in cibo è sicuramente un momento che vorremmo aprire alla partecipazione e al coinvolgimento di più persone, un’ambizione ancora inespressa che svilupperemo nel tempo.

Tocia! è da poco diventata Associazione di Promozione Sociale (APS) cosa comporta questo «titolo»? 

La genesi del progetto è coincisa con la pandemia nel 2020 e nonostante le difficoltà è stato anche un momento proficuo di sospensione temporale per dedicarsi alla sperimentazione a livello laboratoriale. Sin dalla nascita del progetto il sentimento era che quel «noi» rimanesse un gruppo informale, non avvertendo la necessità di strutturare il progetto come un soggetto legale. Con il tempo, ricevendo un certo tipo di feedback o richieste di collaborazione ed allargando il nostro campo di azione, abbiamo avvertito la necessità di strutturare internamente il progetto. Questo al fine di consentire a più persone di vivere questa dimensione in modo coeso, compatto e solido rimanendo pur sempre uno spazio indipendente, aperto agli stimoli esterni, alle collaborazioni e alle relazioni come azione collettiva. 

Tocia, rappresentando una realtà socioculturale autofinanziata, non può vivere di una dimensione puramente commerciale; il progetto è svincolato da una serie di meccanismi economici per cui possiamo mantenere libertà d’azione per portare avanti scelte autonome e indipendenti anche in modo irriverente e radicale. Siamo ospiti come residenza permanente nella sede di Spiazzi Isolab durante il periodo in cui non si svolge la Biennale d’Arte. In quei mesi Spiazzi è un po’ la nostra casa, si trasforma in laboratorio, ufficio e spazio per gli eventi che progettiamo. Durante la Biennale lo spazio ospita un padiglione esterno e i nostri progetti volgono dunque verso il paesaggio circostante, il che ovviamente cambia molto la natura delle attività proposte, viviamo di una dimensione più nomade e itinerante. Durante questa stagione le attività guardano quindi agli spazi aperti, e soprattutto marginali della laguna. Questa scelta ci permette di mantenere la nostra libertà anche a livello di insediamento, non essendo radicati sempre nello stesso luogo, abbiamo la possibilità di reinventarci in relazione ai luoghi che abitiamo. 

Istituirsi come Associazione ha dunque l’obiettivo di diventare un collettore di altri tipi di relazioni e di economie, come la possibilità di partecipare a bandi, di trovare finanziamenti sia nel pubblico che nel privato che sostengano e riconoscano il valore sociale e culturale della nostra pratica andando ad espandere le potenzialità del progetto attraverso una struttura più tangibile. 

Qual è la ricerca gastronomica alla base di Supper Clash – ricette di (R)esistenza? Si può definire attivismo gastronomico? 

L’idea centrale è la mescolanza, opporsi dunque ad un’idea-simulacro di identità e «tradizione». Il cibo per il suo valore simbolico è immerso in un linguaggio saturo di una retorica che tende a svuotare l’idea di tradizione per farne dei vessilli barricati in difesa di elementi di identità locale, laddove la cucina è invece uno dei luoghi che ha determinato più di tutti una dimensione di stratificazione e di mescolanza culturale. 

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La potenzialità della pratica gastronomica è ancora una volta quella della costruzione di relazioni, la cucina ha la capacità di assorbire le distanze tra le culture e di fungere da «melting pot», tanto più a Venezia che storicamente è città di scambi, un crocevia tra diverse rotte commerciali e dunque culturali. Il nostro interesse è quello di attivare progettualità che gravitino attorno ad un approccio di mescolanza, di contaminazione: da un lato attraverso una chiave di lettura ecologica rispetto al paesaggio e all’emergenza climatica, dall’altro attraverso una ricerca sulla stratificazione culturale come opportunità per ri-scoprire e costruire relazioni attraverso il cibo.

Supper Clash in questo senso è un progetto che parte dall’idea di mescolare la pratica della cucina all’attivismo ovvero all’immaginario della lotta, della protesta, della ribellione che normalmente viene associato poco alla cucina. Attraverso il cibo abbiamo la possibilità di parlare anche di conflitto, di resistenza e di esistenza. Pensiamo sia necessario sollecitare l’idea che sia possibile ribellarsi all’ingiustizia che essa sia ecologico-ambientale (ad esempio l’intervento per «Comitato No grandi navi»), economica, sociale. Come dice il nostro mantra riportato anche nel nostro poster «cucinare è un atto rivoluzionario»: è una pratica che trasforma la materia, la rivoluziona in modi sempre diversi, allo stesso tempo la materia manipolata dall’uomo nell’atto di cucinare può diventare azione socialmente attiva atta a stimolare una presa di coscienza e di posizione. Un esempio sono i ritrovi dell’anno scorso dedicati alle proteste per i diritti delle donne in Iran e alla guerra in Ucraina, la resistenza del popolo palestinese quest’anno, collocando queste dimensioni di sofferenza e di lotta entro un contesto intrinsecamente umano oltre che storico e politico. Un’occasione per raccontare storie, testimonianze di (r)esistenza con e attraverso il cibo e la mescolanza.

Cos’è il progetto I Pani e I Pesci, quali i prossimi appuntamenti da salvare in calendario?

Tocia vuole realizzare dei format che catalizzino e concentrino delle tematiche e delle pratiche in modo sempre molto obliquo e trasversale, aperto. I Pani e i Pesci in questo senso è un altro dispositivo fortemente rappresentativo di questo tipo di approccio. L’idea è di prendere come pretesto l’immagine del racconto evangelico e decostruire anche questo simulacro per trarne poi un momento di sperimentazione, di indagine poco strutturato e sempre aperto a costruirsi in divenire. Si presenta come una serie di eventi e serate collocati all’interno di una cornice temporale che si protrae dal 16 febbraio al 1° aprile. Questo periodo coincide con la permanenza presso la sede di Spiazzi e offre l’opportunità di intrecciare la nostra pratica con eventi collaterali attivati dalla residenza, di abitare occasioni costruite da altri. 

Abbiamo partecipato all’inaugurazione della mostra di Paolo della Corte dedicato ai pesci di laguna, progetto nato all’interno di questo spazio e abbiamo cucinato esplorando il tema dei pani e dei pesci. Questo si replicherà in vari appuntamenti che assumeranno forme diverse: da situazioni più informali come lo street food, a pranzi e cene in cui inviteremo cuochə e collaborat_ esternə ad interpretare il tema. Questo sabato (2/03) avremo la presentazione del libro Sette sardine aperte a libro di Federico Riccato, biologo marino, ricercatore e pescivendolo facente parte del progetto ittico sostenibile. 

È un programma che dipaniamo un po’ alla volta sui social proprio perché laboratoriale e sperimentale, costruito in itinere. La fine del progetto coinciderà con la fine della nostra permanenza a Spiazzi, per cui continueremo poi il nostro lavoro in forma più itinerante e nomade ricercando nuovi spazi da abitare tra cui il chiosco del Cinema Galleggiante in estate che ormai è un appuntamento fisso. In merito alla nostra collaborazione con Microclima, invece, stiamo portando avanti il progetto Convivi Acquatici sull’isola di Sant’Andrea, uno strumento per abitare in comunità il paesaggio lagunare dove il confine tra terra e acqua è tangibile, dove emerge la dimensione anfibia di Venezia attraverso interventi attivi. Sulla base di questo format realizzeremo picnic e incontri conviviali sulla spiaggia del Bacan a Sant’Erasmo, presso Forte Sant’Andrea, ai Murazzi di Pellestrina, a Poveglia. Convivi Acquatici si configura come un dispositivo corale tramite cui ricercat_, professionistə e artigianə sono invitati a mescolarsi, relazionarsi con la collettività al fine di creare un momento simbolico e rituale per condividere cibo, racconti, saperi provenienti dallo stesso paesaggio lagunare che ci ospita.

L’anno scorso abbiamo condiviso la tociada del nostro tocio attraversando la secca tra Sant’Erasmo e il Bacan a piedi nudi, immersi nella relazione simbiotica uomo-ambiente, ci siamo nutriti con consapevolezza e gratitudine del luogo che stavamo respirando e calpestando, della linfa vitale che si rigenera circolarmente. 

La nostra indagine, oltre che dal cibo, parte dall’idea di riflettere su come abitiamo questa città, gli spazi pubblici, come abitiamo le relazioni sia umane, interpersonali che con il paesaggio. La nostra pratica vuole essere fondativa di modi alternativi di pensare, di vivere e di progettare la città. Venezia, da un lato corrotta e svuotata da una serie di meccanismi economici e sociali, ribolle di un substrato di entità collettive che vogliono intessere relazioni, costruire una rete comunitaria solida, valorizzare gli spazi e le risorse, abitare la città e il suo fragile ecosistema con amore.

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