nizioleti 5.o

di Pietro Gavagnin

“Fondamenta di donna onesta” e l’adiacente “Ponte di donna onesta” si trovano a cavallo fra i sestieri di S. Polo e Dorsoduro, rispettivamente nelle parrocchie dei Frari e di San Pantalon. Questo passaggio molto trafficato anche se relativamente nascosto ha ben due leggende sul suo nome.
La prima leggenda trae origine da una bottega di uno spadaio della zona, che ricevette in commissione la realizzazione di una “misericordia”, una spada a lama corta, da un giovane nobile. Tuttavia il nobile si innamorò della bella moglie del mastro spadaio e con l’inganno tentò di violentarla. Per sfuggire al nobile, quest’ultima si suicidò conficcandosi la misericordia nel petto. Da qui il nome “donna onesta”, ovvero fedele al marito fino alla morte.
Un’altra versione meno romantica vede come protagonista una prostituta del XV° secolo. Questa categoria di lavoratrici era soggetta in quel periodo a leggi ferree, che le obbligavano a lavorare solo in determinate zone della città. Tuttavia un forestiero insistette con una “mamola” (uno dei nomi per indicare le prostitute) per avere servizi fuori dal luogo prestabilito dalla Repubblica. La donna tuttavia si oppose e chiamando le guardie fece arrestare l’aggressore, meritandosi l’epiteto di “donna onesta” per non aver infranto la legge e ricevendo un compenso per la sua diligenza.

Il “Campo de la fava” e l’omonimo rio si trovano a pochi passi dal ponte di Rialto, nella
parrocchia di Santa Maria Formosa. In mezzo al campo sorgeva una volta la chiesa di Santa Maria della Consolazione, detta anche Santa Maria della Fava, ora arretrata di qualche metro. Secondo la leggenda nella zona vi era un contrabbandiere di sale che ne nascose dei sacchi in attesa di una barca per concludere l’affare. Per mimetizzare il sale l’uomo mise delle fave in cima al
sacco. L’uomo venne però avvertito che i “birri”, termine storico veneziano per indicare gli “sbirri” ovvero i poliziotti, avrebbero fatto un controllo nel suo magazzino. Il contrabbandiere, impaurito, andò a pregare la Madonna, pentendosi dei suoi peccati e promettendo di abbandonare la criminalità se lo avesse salvato. Per miracolo i sacchi di sale si trasformarono in sacchi pieni di fave, salvando l’uomo dall’impiccagione.

“Calle del Marangon” si trova a Dorsoduro, a pochi passi dalla fermata di Spirito Santo. Col termine “marangon” si indicavano i falegnami, divisi in categorie e protetti da uno statuto fin dal 1335. Vi erano i marangoni dell’Arsenale, da case, da noghera (mobili) e da soaze (cornici). “Marangona” era anche detta la campana che verso le 6 del mattino rintoccava svegliando gli operai. Ora il termine “marangon” non è più usato nel parlato, ma è diventato un diffuso cognome.

Contenuti presi da “I nizioleti raccontano 1” di Paolo Piffarerio e Piero Zanotto venduto in allegato con il “Il Gazzettino” edizione speciale del 2012

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