Tempo, spazio ed esistenza a palazzo bembo – european cultural centre

di Ludovica Lancini

“Creation of architecture is creating moods and feelings. What I was trying to do is to create things which would make you always feel at home, but today we don’t know what home is supposed to be.”

È con questa citazione dell’architetto indiano Balkrishna Vithaldas Doshi, vincitore nel 2018 del Premio Pritzker, una sorta di Nobel dell’Architettura assegnato annualmente a colui che risulta in grado di produrre contributi significativi per l’ambiente e l’umanità che lo abita, che si apre la sesta edizione di Time Space Existence. Le sue tre diverse sedi, Palazzo Mora, Palazzo Bembo e Giardini della Marinaressa, sono abitate da più di duecento progetti e iniziative, portati avanti da artisti provenienti da ogni angolo del globo. Come piattaforma di scambio e sperimentazione, la mostra presenta un gruppo internazionale ed eclettico di architetti, designer, accademici e fotografi che si sono avvicinati a Venezia per studiare e rappresentare il rapporto degli uomini con il tempo e lo spazio. La combinazione di queste competenze e provenienze ha contribuito a generare un intenso dialogo, che elabora nuovi modi di pensare l’architettura, in una chiave più intima e autoriflessiva. Ogni progetto ripensa al significato stesso di architettura, che si potrebbe definire come un processo creativo che va di pari passo con la costruzione di stati d’animo e sentimenti e che vede come proprio personale obiettivo non soltanto la realizzazione di case o edifici, ma soprattutto la costruzione di relazioni con e per gli altri.
La grande sfida con cui gli artisti si sono scontrati è legata al contesto in cui viviamo, che, a causa delle minacce ambientali e delle sue più aberranti trasformazioni, finisce per mettere in discussione il concetto stesso di casa. È stato lasciato loro uno spazio di condivisione per confrontarsi e vagliare nuove proposte con cui provare a valutare cosa si possa definire tale, puntando l’attenzione sull’ambiente urbano e naturale che ci circonda. I partecipanti hanno quindi approfondito gli studi in ambito tecnologico e edilizio, cercando soluzioni e innovazioni in grado di ridurre le emissioni di carbonio, sia per quanto riguarda le tecniche utilizzate sia per tutti quei materiali sostenibili su cui potrebbero reggersi le città di domani, se mai esisteranno. Alcuni dei progetti hanno preso vita da un’attenta analisi delle testimonianze sulle migrazioni e sugli spostamenti climatici. Studiandone gli effetti, gli artisti hanno provato a cercare risposte per attenuare l’impatto dell’attuale crisi del costo della vita e per rispondere all’esigenza di giustizia sociale e spaziale.
Altri progetti esaminano le tensioni tra l’ambiente urbano e la natura, identificando le opportunità di coesistenza e stabilendo un dialogo con la cultura locale, in un periodo storico delicato, in cui le pressioni esterne stanno cambiando il nostro modo di vivere e percepire l’ambiente circostante. Alla luce dell’attuale crisi climatica la mostra condivide possibili soluzioni per vivere una vita maggiormente sostenibile, aprendo uno spazio di discussione e stimolando un dialogo inclusivo e coinvolgente. Emblematiche, in questo senso, sono le prime due sale di Palazzo Bembo, quelle dedicate al progetto dell’Università dell’Oregon, a cura di Dean Adrian Parr, la cui ricerca si focalizza sul concetto di Transpecies Design. L’idea si basa sulla proposta che gli esseri umani, come concittadini di un pianeta condiviso, non debbano limitarsi a vivere nei confini della propria mentalità antropocentrica, ma mettersi al servizio del grande numero di biodiversità presenti sulla terra. Adrian Parr riconosce che, grazie al design, si potrebbero manifestare una serie di nuove opportunità che aiuterebbero non solo a migliorare la vita dell’uomo, ma anche quella dei suoi vicini di casa, dalle piante ai batteri.  Attraverso il design l’umanità può divenire consapevole del male inflitto dai propri predecessori alla terra, mettendosi in moto per rivitalizzare gli ambienti danneggiati, prendendo spunto dai particolari design già presenti in natura, affidandosi e appoggiandosi ad essi.
Alla luce dell’attuale crisi climatica, la mostra condivide soluzioni intelligenti per una vita migliore, accende la speranza e stimola un forte dialogo. Oltre a creare uno spazio di discussione, alcune installazioni celebrano le donne in architettura e i talenti emergenti di tutto il mondo, mentre altre ritraggono nuovi scenari da un punto di vista artistico.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *