di Ludovica Lancini
Giovedì primo agosto l’Arena di Klaus Littmann e i suoi tre cipressi calvi hanno lasciato l’Arsenale, dopo averne avvolto il bacino in un’atmosfera incantata, creando un’oasi di pace, un piccolo paradiso verde lontano dal trambusto cittadino.
Accompagnata da alcuni parenti, amici e collaboratori dell’artista, l’opera ha attraversato le acque della laguna, lambendo San Marco e giungendo fino a San Basilio, dove le è stato dato l’ultimo, commosso saluto. Il guscio ha seguito le sponde smerigliate di Venezia, emergendo lentamente dalle fronde di Sant’Elena, come a voler sfuggire al temporale imminente. Quella che sembrava a tutti gli effetti l’apocalisse, che oscurava il cielo sopra l’Arena, si è rivelata una cornice straordinaria. Così maestosa e minuta al tempo stesso, la struttura in legno ha proseguito il suo viaggio senza timore, illuminata da fulmini cremisi, che squarciavano il cielo come lame affilate, creando magici riflessi nelle acque increspate della laguna.
Klaus ha assunto il ruolo di pirata, seduto con orgoglio su una delle barche che seguivano la sua creazione, dando indicazioni ai marinai e osservandola allontanarsi sempre di più. Con non poca emozione, il cielo sopra il campanile di San Marco si è schiarito per un attimo, illuminando il passaggio mentre si tingeva di rosso fuoco, permettendo all’Arena di diventare, ancora una volta, un tutt’uno con la città forse più particolare del mondo, fondendosi con i suoi magici tramonti anche nel giorno dell’addio.
Il culmine dell’emozione è stato raggiunto a Sacca Fisola, la parte finale del canale della Giudecca, dove a fare da sfondo al viaggio di Arena for a Tree sono stati i pochi alberi presenti in città, quelli del parco di San Biagio, forse l’altra piccola oasi veneziana. Da due realtà distinte, per pochi minuti si sono unite in un solo respiro, arricchendo di verde una città che di verde ne ha ben poco. E infine, al fischio di Laila Abdel’Al, la moglie dell’artista, sono partiti gli ultimi saluti prima di ancorare a San Basilio e vederla allontanarsi fino al porto di Marghera.
In una Venezia dove la natura sembra quasi un ricordo lontano, l’Arena for a Tree ha tracciato una rotta di speranza e bellezza. Come una barca fantasma, ha solcato le acque lagunari sotto un cielo tempestoso, trasformando per un momento la città in un quadro vivente. E così, mentre si allontanava verso il porto, l’opera di Littmann non si è dissolta, ma è rimasta scolpita nell’anima di chi l’ha ammirata, un simbolo eterno di armonia tra l’uomo e la natura, tra arte e vita.